Girovagando quà e là per la rete, una sera in tarda ora, mi sono imbattuta in un racconto breve, una favola, che mi ha riportato indietro a diverse estati fa...
Anno 2012, mese di maggio, ultimi giorni di un mese che già aveva portato notti insonni, pensieri, paure, provenienti dalla profondità della terra...
Cosa può succedere se all'improvviso quello di certo, sicuro, considerato da sempre stabile e fermo, viene a mancare sotto i piedi? Quando la terra trema? Quando la casa, la tua casa, il tuo nido, lo senti sgretolare intorno a te?
Come reagire?
Con semplicità e delicatezza in questo breve racconto si viene a creare piano piano una possibilità di fiducia, di apertura, nonostante gli eventi, per poter recuperare la speranza nella vita con una buona dose di modestia ed allegria.
Con la gentile concessione dell'autore Mauro Bernini, che con questo racconto ha vinto l’edizione 2015 del Premio H.C. Andersen (sezioni adulti), desidero condividere questa favola perchè possa, come indicatomi dallo stesso autore "spingere la Mezza Casa come fosse su ruote" e possa arrivare col suo messaggio semplice e positivo ai piccoli ed ai grandi lettori, colpiti dalle avversità della vita.
(... perchè pubblicare ora qualcosa che ricordi quel terremoto? Bè non è certo un anniversario conosciuto, ma per noi, io e la mia famiglia, è rendere omaggio a quella casa che ora non c'è più, demolita nell'agosto del 2012, che ci ha accolto per tanti anni e confermare che la nostra mezza casa ha avuto il suo compimento, dopo alti e bassi e che sì anche se a volte tutto sembra nero, non bisogna mai perdere la speranza e la fiducia nella vita...)
LA MEZZA CASA
Viveva una volta, neanche tanto tempo fa, nel paese di Casagrande una famiglia fatta da padre, madre, figlio e figlia. Il
lavoro era poco e questa famiglia non riusciva a risparmiare abbastanza
per costruirsi una casa. Cerca che ti ricerca, prova che ti riprova,
c’era sempre bisogno del doppio dei soldi, del doppio del tempo, del
doppio del lavoro. Un giorno il papà li convocò attorno alla tavola e
disse loro:
“Mi dispiace ma non possiamo comprare la casa dei nostri sogni,
dovremo rimandare a tempi migliori oppure rinunciare”. Era triste e
sconsolato mentre lo diceva.
“Non abbiamo abbastanza soldini?” chiese il figlio.
“Non abbiamo abbastanza tempo?” domandò la figlia.
“Non abbiamo abbastanza lavoro”, spiegò il papà.
“Già”, sottolineò la mamma. “Ma ci vogliamo bene e questo è quello che
importa”. Sì, di quello erano convinti tutti e quattro. Rimasero in
silenzio a pensare e poi la più piccina fece un’altra domanda:
“Ma quanti soldi abbiamo?”
“La metà di quello che serve”.
“E allora perché non ci costruiamo una mezza casa?” propose convinta.
“Sì papà, ci basterà”, disse serio il figlioletto.
La mamma e il papà si guardarono e sorrisero perché era proprio un’ottima idea. Anzi un’ottima mezza idea.
“Sì, possiamo fare così, ma se costruiamo una mezza casa dobbiamo
promettere che nella metà che abiteremo faremo entrare solo cose belle
mentre quelle brutte andranno nella metà che non c’è”.
La mamma alle parole del papà confermò: “Giusto, le cose brutte dovranno stare nella mezza casa invisibile”.
La sera, per festeggiare e per abituare la famiglia all’idea, preparò
una buonissima mezza torta! Ci volle un po’ di pazienza e tanto
impegno, ma costruirono la loro nuova mezza casa. Il papà faceva il
muratore e se la sapeva cavare con quel tipo di lavoro. La casa venne
benissimo: c’era mezza porta, mezzo tetto, metà giardino, metà di tutto.
Era davvero bellissima e nel mezzo giardino c’era anche una mezza
autorimessa dove la macchina poteva ripararsi, una notte la parte
davanti e l’altra notte la parte di dietro. Beh, tutto era diviso in
due, i letti erano mezzi letti, la tavola era un semicerchio, in cucina
c’era un mezzo camino e le lampadine dei lampadari erano la metà. Anche
la ciotola per il gatto era stata tagliata a metà. Il papà portò a
mezzacasa un grande orologio a pendolo che suonava ogni mezz’ora e non
ogni ora come gli altri orologi. In poco tempo la mamma e il papà
tornarono a essere felici e anche i bambini, nonostante avessero potuto
portare solo la metà dei loro giochi. Avevano scelto i giocattoli che
preferivano mettendo nella mezza casa invisibile quelli che non usavano
più, quelli che non servivano e quelli rotti.
Sembrava andasse tutto bene ma gli abitanti di Casagrande, passando
davanti a quella mezzacasa, pian piano cominciarono a insospettirsi. Si
fa sempre così quando si ha a che fare con una cosa nuova e strana,
chissà perché? Si chiesero perché fosse stata costruita solo a metà. Il
capo dei vigili si grattò l’elmetto chiedendosi: “Ci deve essere sotto
qualcosa di losco. Bisognerà vigilare!”
Il sindaco, in fascia tricolore attorno al petto, passò con la sua
enorme macchina davanti alla mezza casa e chiese a uno degli assessori
che erano con lui: “Abbiamo dato un mezzo permesso di costruire a questa
famiglia? Bisognerà sindacare!”
E il capo dell’ufficio delle tasse disse a uno dei sui direttori:
“Quella famiglia vuole pagare solo metà imposte sulla casa? Bisognerà
tassare!”
Insomma gli abitanti del paese, abituati a vedere tutto intero, tutto
perfetto, tutto grande e tutto a posto, avevano cominciato ad agitarsi.
A scuola, dove c’erano bambini di diversi colori che provenivano da
posti lontani, nessuno aveva a che ridire sulle case degli altri. Non
diceva niente il bambino eschimese abituato al suo iglù; non diceva
niente il piccolo lappone abituato alla sua tenda; non diceva niente il
figlio dei tuareg abituato alla sua capanna in pelle rossa. Se quei due
fratelli volevano abitare in una mezza casa andava benissimo,
l’importante era che giocassero insieme a loro durante la ricreazione.
“Bisognerà giocare!”
Ma un bel giorno, anzi un brutto giorno, anzi un giorno che sembrava
brutto e poi diventò bello, arrivò uno spaventoso terremoto. Non si
sapeva perché fosse arrivato proprio lì, di solito si sentiva parlare di
terremoti in posti sperduti e lontani, dall’altra parte del mondo. In
ogni caso il terremoto arrivò e fu potentissimo. Fu così forte che si
abbatté sulle case di Casagrande, comprese quelle in periferia, e le
fece crollare a metà. Insomma in un minuto di scosse quasi tutte le case
divennero mezze case. Per fortuna la gente era riuscita a scappare
all’aperto e salvarsi.
La mezza casa della famiglia rimase in piedi e crollò la mezza casa
invisibile. L’aveva detto la mamma che le cose brutte sarebbero finite
da quella parte. Il papà muratore andò ad aiutare i suoi vicini: usò la
sua ruspa e il trattore, preoccupato di salvare soprattutto i bambini.
Tutto bene, i bambini erano a scuola perché erano solo le nove del
mattino, sani e salvi. La scuola no, ma metà delle case, delle fabbriche
e dei negozi era andata distrutta. Il papà della famiglia della mezza
casa prese un megafono e disse: “Non preoccupatevi, state tranquilli, si
vive benissimo anche in una mezza casa. Ve lo posso assicurare, io ci
vivo già!” Poi continuò a dare una mano a chi ne aveva bisogno, senza
risparmiare fatica e sudore. Dopo la prima scossa ne arrivarono tante
altre più piccole, soprattutto la notte, e le famiglie si rifugiarono
nella palestra della scuola che era un edificio alto, largo e sicuro,
costruito a prova di terremoti, maremoti, ostrogoti e progettata per
resistere a sismi, cataclismi e bambinismi.
Le scosse piccole distrussero le case che non erano crollate la prima
volta. In quattro e quattro otto, anzi in otto diviso due quattro, le
case erano diventate metà, anche le casette in legno per gli uccellini e
le cucce dei cani.
Nei giorni successivi, vedendo che c’erano ancora molte persone
spaventate e preoccupate, il papà muratore riprese il megafono, montò
sul trattore e rifece il giro del paese. “Non fa niente se la vostra
casa è diventata la metà di prima. Fate come noi, fate che solo le cose
brutte vadano nella mezza casa che non c’è, in quella che c’è tenete le
cose belle, i giocattoli buoni, le marmellate più dolci, i disegni dei
bambini e soprattutto l’amore.” Un po’ difficile da dire al megafono
quella frase così lunga, ma lui la disse lo stesso. Forse per lui era
difficile solo la metà. Il capo dei vigili, il sindaco e il direttore
dell’ufficio delle tasse, avevano avuto gli stessi crolli degli altri e
si stavano lasciando prendere dallo spavento e dalla disperazione, ma
quando videro il papà in trattore col megafono, presero coraggio e
vollero fare come lui e siccome tutti e tre avevano un megafono a pile,
andarono in giro a dire più o meno le stesse cose.
“Rimanete nella vostre mezze case”.
“State tranquilli e aiutatevi l’un con l’altro”.
“Non è male buttare via le cose brutte”.
In breve tempo gli abitanti di Casagrande si erano ripresi, si
stavano aiutando e scoprirono di vivere in un paese di gente brava e
buona e questa fu la migliore delle scoperte. I bambini tornarono a
scuola, ritrovarono i disegni che avevano interrotto a metà e pensarono
che fossero bellissimi anche così. La cosa ancora più bella fu scoprire
che le maestre avevano deciso di dare loro solo la metà dei compiti a
casa. Anche le mezze fabbriche ricominciarono a sputare fumo e rumore,
solo che ne producevano la metà di prima, la metà buona. I gatti e i
cani di casa tornarono alle loro cucce e annusarono le novità, fiutarono
vecchi odori ma anche mezzi odori nuovi e interessanti; insomma le
persone e gli animali respirarono un’atmosfera di nuova mezza normalità.
Forse avevano imparato che anche le cose sconosciute e strane hanno dei
lati positivi.
La domenica il sindaco chiamò la gente in piazza e comunicò
un’importante novità: “Da oggi il paese di Casagrande cambia nome. Il
nuovo nome sarà Mezzacasa e d’ora in avanti tutto costerà la metà”. Ci
fu un applauso del tutto nuovo, si applaudiva uno con la mano dell’altro
ed era un gioco che aveva scoperto il piccolo della prima mezza casa
giocando con sua sorella e che aveva contagiato i bambini e i genitori
che erano seduti in piazza. Il mezzo applauso fu molto fragoroso e caldo
anche se a volte qualcuno sbagliava mira. Anche la mamma della prima
mezza casa volle dire la sua e si alzò per andare sul palco a dire
quello che aveva in mente: “Solo una cosa dovrà essere il doppio di
prima”, proclamò.
“Cosa? Il doppio?” si chiesero alcuni più o meno sottovoce.
“Cosa vuole dire?” domandarono altri al proprio vicino. Quale segreto avrebbe rivelato?
“Cosa deve raddoppiare?” chiese un ragazzo in equilibrio su un monociclo che era la parte davanti della sua vecchia bici.
“L’amore”, svelò la mamma sorridendo. Ah certo, a pensarci bene era una
risposta super semplice e tutti dentro di loro la conoscevano già.
Dedicato alle donne e agli uomini della mia terra ma soprattutto
ai bambini, da Mantova a Bologna, passando per Modena e Ferrara, che in
questi ultimi anni hanno visto crollare tutto attorno a loro, tranne la
voglia di aiutarsi, la speranza e l’amore delle loro famiglie.